29 giugno 1991 - Un momento dell'Ordinazione Sacerdotale di don Piero |
Campane a festa oggi nella chiesa Cattedrale di Sant'Agata. Per la solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, certamente.
Ma anche per la felice ricorrenza del venticinquesimo anniversario dell'ordinazione sacerdotale del nostro Parroco, Mons. Piero De Santis.
La Comunità parrocchiale questa sera, con inizio alle ore 19,30, assieme al vescovo Mons. Fernando Filograna, si riunirà attorno all'Altare del Signore per rendere grazie a Dio, ed attorno al suo parroco, per testimoniare l'affetto e la sincera gratitudine per l'intero suo ministero sacerdotale ed, in particolare, per i dieci anni passati alla guida pastorale nella nostra comunità parrocchiale.
Poniamo alla meditazione dei nostri lettori lo scritto che don Giancarlo Biguzzi, noto Biblista, ha inviato per il numero speciale de LA SENTINELLA.
Don Giancarlo Biguzzi - Biblista |
Degno
di fede e capace di compatire
A Gallipoli è preferibile
incontrare il prete nella cattedrale di Sant’Agata o, invece, per
la strada, in mezzo alla fiumana di gente della stagione estiva? La
(prevedibile) risposta fu data già verso la fine del primo secolo
d.C. da uno scritto del Nuovo Testamento che si chiama Epistola
agli Ebrei nei primi suoi
due capitoli, dove l’autore fa un confronto (strano per noi, ma lui
vedeva più lontano) fra gli
angeli e il Cristo.
Nel primo capitolo l’autore
raccoglie un po’ da tutta la Bibbia sette testi che illustrano i
momenti di una cerimonia d’investitura del nuovo re. Anzitutto
l’eletto viene proclamato «figlio» dal re-padre, poi viene
presentato ai sudditi, poi a lui vengono consegnati i simboli regali
(trono, scettro, olio dell’unzione), e infine il nuovo re viene
invitato a salire al trono con la frase: «Siedi alla mia destra».
L’autore dell’Epistola allora chiede retoricamente: «A quale
degli angeli Dio ha mai detto: Tu
sei mio figlio, oggi ti ho generato?
E ancora: Io sarò per lui
padre ed egli sarà per me figlio?
(Ebrei 1,5). Per l’Epistola la risposta è: a nessuno degli
angeli!, perché agli occhi di Dio gli angeli sono solo servi,
ministri (v. 1,7): quelle parole d’investitura regale sono invece
rivolte al Figlio! Evidentemente l’autore andò applicando al
Cristo le parole che trovava nell’Antico Testamento e che
profeticamente gli parlavano della grande dignità di Gesù di fronte
a Dio. La prima conclusione cui l’Epistola ci porta è: «Gesù è
più vicino a Dio che non gli angeli».
Nel secondo capitolo il confronto
del Figlio con gli angeli riguarda non più la vicinanza a Dio, ma la
vicinanza con gli uomini. Secondo il Salmo 8 il Cristo (sempre
nell’interpretazione dell’Epistola) fu fatto per un po’ di
tempo inferiore agli angeli. Fu il tempo della sua sofferenza e della
sua morte: «Conveniva
infatti che Dio rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo
[= Gesù] che guida alla salvezza» (Ebrei 2,10). È così che il
Cristo è divenuto partecipe non della vita degli angeli, ma della
vita degli uomini, lui che «non si vergogna di chiamarli fratelli»
(v. 1,11). La seconda conclusione dell’Epistola è dunque: «Gesù
si è fatto più vicino agli
uomini che non gli angeli», i quali non possono esperimentare le
sofferenze umane.
In questo modo le due prime
conclusioni conducono alla terza: «Perciò [il Figlio] doveva
rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare Sommo sacerdote
“misericordioso” e “degno di fede”» (2,17-18): degno di fede
agli occhi di Dio e misericordioso, capace di compassione, per gli
uomini. Per tutto questo Gesù, e non gli angeli, è nella condizione
ottimale per fare da ponte tra Dio e gli uomini e viceversa, perché
è vicino e accettato da tutte e due le sponde.
Sull’esempio di Gesù, anche il
prete deve essere vicino a Dio e vicino agli uomini, credibile agli
occhi di Dio e capace di capire gli uomini, e di patire insieme con
loro. Il prete non appartiene a sé stesso e dunque non deve avere sé
stesso come centro, perché deve avere i due baricentri che ha Gesù:
da un lato deve inoltrarsi nella conoscenza del mistero di Dio
attraverso la preghiera personale, la preghiera liturgica, il
silenzio e la riflessione, e dall’altro deve conoscere gli uomini
ascoltandoli, amandoli, rispettandoli, aiutandoli, illuminandoli,
guidandoli ... E ogni giorno deve fare da ponte, essendo “pontefice”
(e cioè facitore di ponti), portando Dio agli uomini e gli uomini a
Dio.
Un film (quello sui sette monaci
trappisti di Tibhirine, uccisi nel 1996 in Algeria) che in italiano è
stato intitolato «Uomini di Dio», in francese aveva un titolo più
completo: «de Dieu,
des hommes». Quei
monaci sono stati dunque «di Dio e degli uomini», e così deve
essere anche il prete. E allora il prete è al suo posto sia nella
cattedrale di Sant’Agata, sia tra la fiumana di gente della
stagione turistica gallipolina.
Don Giancarlo Biguzzi
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