Il brano di Vangelo (Lc 1,1-4;4,14-21), che la liturgia della terza domenica del tempo ordinario ci offre, consta di due parti: la prima ci riporta l'elegante pro logo che Luca premette al suo Vangelo e in cui spiega le ragioni per cui si è deciso a scriverlo (1,1-4); la seconda, invece, ci descrive il ritorno di Gesù a Naza ret, dopo le tentazioni nel deserto, all'inizio della sua vita pubblica (4,14-21).
Il brano liturgico non ci fa leggere oggi il seguito drammatico di quell'incontro di Gesù con i suoi concit tadini, che termina con un non riuscito tentativo di assassinio: «Al sentire queste cose tutti nella sinagoga furono presi da un grande sdegno e, alzatisi, lo caccia rono fuori dalla città e lo condussero fino a un dirupo della collina sulla quale la loro città era situata per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò» (vv. 28-30). Lo scopo della Liturgia, infatti, è quello di mettere in evidenza la «nor matività» della Parola e la sua « potenza » di trasfor mazione e di invito alla «decisione»: per questo è stato omesso il seguito del racconto.
Fermandoci a questa prospettiva, vediamo che cosa può insegnare l'odierno brano evangelico.
Incominciamo dal « prologo » del Vangelo di Luca, dove l'Evangelista ci introduce nel cuore del mistero della «Parola» (vv. 3-4) come realtà «viva», che si trasmette di generazione in generazione, per creare la comunità dei credenti: Teofilo, a cui viene dedicato il terzo Vangelo e del quale non sappiamo nulla, può es sere il simbolo di tutti noi che non abbiamo presenziato agli « avvenimenti » salvifici «successi» tanto tempo fa (v. 1), e che, pur tuttavia «riecheggiati» fino ad oggi - tale è il significato del verbo greco, qui tradotto con «hai ricevuto» (v. 4) - procurano anche a noi la salvezza.
Proprio per questo, la prima preoccupazione di Luca nello stendere il suo Vangelo è stata quella della «fe deltà»: «Ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scrivere per te un resoconto ordinato, illustre Teofilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto » (v.v. 3-4).
Non salva un messaggio accomodato o, in qualsiasi maniera, manipolato. S. Luca ha la possibilità di tra smettercelo in maniera fedele perché può attingere sia a fonti scritte (v. 11), sia a fonti orali: «Come ce l’hanno trasmesso coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola» (v. 2). Per questa catena di ininterrotta «testimonianza», che va da quella oculare a quella parlata e infine a quella scritta, noi possiamo arrivare al cuore stesso degli « av venimenti » salvifici e saggiarne, anche sul piano della validità storica, la «solidità»: la nostra fede, come quella di Teofilo, per essere ragionevole, ha bisogno di essere fondata su «solide» basi! S. Luca ci assicura che il suo Vangelo - ciò che, del resto, vale anche per gli altri - ha questa «solidità» di informazione, con giunta a una assoluta «fedeltà» di interpretazione.
Il che non significa che tutto questo sia capace di fare nascere la fede nel cuore degli uomini, come sta a dimostrarlo l'atteggiamento dei concittadini di Na zaret di fronte a Gesù, di cui pur «ammirano» le pa role di grazia «che uscivano dalla sua bocca» (v. 22). La fede sta nel cogliere «il di più» che c'è in Cristo, oltre il fatto che tutti potevano facilmente avvertire, che cioè egli fosse «il figlio di Giuseppe», come si cre deva (v. 22). È a questo «di più» della fede che i Van geli vogliono condurre i lettori con il loro racconto e la loro interpretazione dei fatti.
È quanto si può ricavare dall'episodio di Gesù che, «ritornato in Galilea con la potenza dello Spirito Santo, ... si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato, nella sinagoga e si alzò a leggere» (vv. 14.16). Gesù si avvale di un diritto riconosciuto ad ogni Ebreo maschio, adulto: quello di fare la lettura di un brano della Scrittura. La sua fama, poi, di maestro itinerante gli permette di tenere anche la successiva spiegazione del testo, senza incontrare nes suna difficoltà da parte del presidente della sinagoga.
Il testo che Gesù lesse in quella occasione, è ripreso da un noto brano di Isaia (61,1-2) e che Luca riporta nei seguenti termini: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messag gio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai cie chi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e pre dicare un anno di grazia del Signore».
Fin qui niente di strano, salvo la gioia e la speranza che dovevano ribollire nel cuore di ogni Ebreo nel sentirsi ridire quelle antiche promesse di liberazione e di salvezza, che il lontano Profeta aveva proclamato per gli Ebrei del suo tempo, di ritorno dall'esilio. Lo strano avviene quando Gesù, terminata la lettura e riconse gnato il rotolo all'inserviente, si mette a sedere e, sotto gli occhi strabiliati di tutti, ne fa la spiegazione dicen do: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi» (vv. 20-21).
È la spiegazione che sconvolge gli uditori, che di fatto reagiscono tentando di ucciderlo. Le parole di Gesù, infatti, affermano due cose che sono di una por tata apparentemente assurda e incredibile: la prima è che quelle parole del Profeta Isaia, che parlano di un misterioso personaggio investito dallo «Spirito del Si gnore» per operare la salvezza del popolo, « si adem piono » proprio in lui, il figlio di Maria o, come la gente subito dopo dirà per dispregiarlo, «il figlio di Giuseppe» (v. 22). La seconda è che l'opera del Messia, descritta in quei due versetti dal Profeta, ha inizio già da quel momento: «oggi». Qualcosa dunque che inizia «subito», immediatamente, a condizione però di ac cettare Gesù di Nazaret come il realizzatore del mes saggio profetico. Le due cose, a cui abbiamo fatto rife rimento, si richiamano a vicenda.
«Gesù opera con la parola e con gli atti, con l'inse gnamento e con la salvezza. Il tempo della grazia è sorto per i poveri, per i prigionieri e per gli oppressi.
Il Gesù del Vangelo lucano è proprio il Redentore di questi oppressi. Il grande dono portato da Gesù è la libertà: libertà dalla cecità fisica e spirituale, libertà dalla povertà e dalla schiavitù, libertà dal peccato. Finché Gesù rimane sulla terra, dura « l'anno di grazia del Signore ». A esso hanno guardato gli uomini prima di Gesù, a esso riguarda la Chiesa. È il centro della storia, la più grande delle grandi opere di Dio. Nella gioia e nello splendore di quest'anno acquista il suo vero significato ciò che Isaia aveva pure profetizzato: «A promulgare per il Signore un anno di grazia, un giorno di rivincita per il nostro Dio» (Is 61,2). Il Mes sia è anzitutto il donatore della salvezza che illumina tutti, e non il giudice che condanna»
Tale atteggiamento di fronte a Gesù di Nazaret, accettato come unico realizzatore della «liberazione» integrale dell'uomo, è possibile solo in una dimensione di fede: i suoi concittadini non presero sul serio «il figlio di Maria». Sembrava loro troppo insignificante, per operare cose sì grandi! Volevano separare il pro gramma di liberazione, che pur accettavano interior mente, dal Liberatore: l'insidia in cui cadono non po chi cristiani anche oggi.
Per chi crede però davvero in Gesù di Nazaret come Messia, rimane « normativa » non solo la parola profetica, ma soprattutto l'affermazione di Cristo di quel lontano sabato, nella sinagoga di Nazaret: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi». Un «oggi» che ricomincia da capo ogni giorno.
Don Piero De Santis
Don Piero De Santis
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