Il
2 aprile 2005, Giovanni Paolo II lasciava la vita terrena.
Nell'anniversario della Sua morte vogliamo ricordarlo con un brano
tratto dal libro "Lasciatemi andare, La forza nella debolezza
di Giovani Paolo II"
Nel
libro, il cardinale Angelo Comastri ricorda la morte di Karol
Wojtyla.
II
1° aprile 2005, vigilia della santa morte di Giovanni Paolo II, mi
trovavo nel mio nuovo ufficio presso la basilica di San Pietro.
Squilla il telefono. Alzo la cornetta e riconosco immediatamente la
voce di S. E. monsignor Stanislaw Dziwisz, segretario particolare del
Santo Padre. Mi dice: «II Papa sta morendo! Se vuole, venga a
salutarlo e a ricevere la sua ultima benedizione!». Emozionatissimo,
corro verso l'appartamento del Papa. Sulla porta mi aspetta S. E.
monsignor Dziwisz e mi introduce nella camera privata del Pontefice:
vedo il Papa che respira affannosamente aiutato da un medico che
inala ossigeno; le mani del Papa sono gonfie e il suo corpo sembra
pronto ad allentare gli ormeggi per il grande viaggio; i suoi occhi
sono sereni e sembra che già guardino al di là della storia per
intravedere il Volto Santo, il Volto atteso, il Volto amato di Colui
che è stato la ragione di tutta la sua vita.
Scoppio
a piangere e mi inginocchio accanto al letto del Papa e,
improvvisamente, mi appare davanti agli occhi la scena dell'ultimo
Venerdì Santo: la televisione fece vedere il Papa seduto nella sua
cappella privata mentre teneva in mano il Crocifisso: ma il
Crocifisso non era rivolto verso gli altri, bensì verso il Papa, che
lo guardava immedesimandosi nella vicenda del Divino Maestro.
In
quel momento, nel silenzio interiore della mia anima, sentii le
parole che Gesù rivolse a Simon Pietro lungo le rive del lago di
Galilea: «"Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?".
Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti amo". Gli
disse: "Pasci i miei agnelli! (...) In verità, in verità ti
dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi
dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro
ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi!". Questo
gli disse Gesù per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato
Dio. E, detto questo, Gesù aggiunse: "Seguimi"» (Gv
21,15.18-19).
Mentre
stavo in ginocchio accanto al letto del Papa moribondo, mi sembrò
che Egli stesse vivendo questa pagina di Vangelo, questo dialogo mai
interrotto tra il Signore e Pietro; e, sulle labbra del Pontefice,
colsi la sintesi stupenda della sua vita e del suo lungo e drammatico
pontificato: «Signore, tu sai tutto. Tu sai che ti amo» (Gv
21,17).La sera di quel giorno, piazza San Pietro spontaneamente si
riempì di una folla strabocchevole: pregammo insieme il santo
Rosario con voce sommessa e con emozione visibile, mentre le finestre
illuminate della camera del Papa sembravano due occhi che ci
guardavano e ci accarezzavano e ci benedicevano consegnandoci il
messaggio dell'inizio e della fine del Pontificato: «Non abbiate
paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!».
Quasi
per impulso, mi permisi di dire al microfono: «Le parole con cui
Giovanni Paolo II ha iniziato il pontificato in questa piazza nel
lontano 16 ottobre 1978, ora hanno per lui un significato tutto
particolare:in questo momento Cristo gli sta spalancando le porte del
Paradiso, mentre Maria l'aspetta sorridente sulla porta per
abbracciarlo e introdurlo nella festa dei santi».
Ciò
che accadde il giorno dopo e nei giorni successivi noi lo sappiamo:
ormai appartiene alla storia e all'archivio delle nostre coscienze.
Mi limito a raccontare due episodi dei quali sono stato
testimone.
Quando
la venerata salma del Pontefice venne trasferita nella basilica
vaticana, iniziò un pellegrinaggio mondiale, che sembrava un
abbraccio di affetto e di riconoscenza verso l'uomo che
instancabilmente aveva camminato come pellegrino del Vangelo per le
strade del mondo intero. Durante la prima notte, mentre la folla
silenziosamente e lentamente passava davanti al Papa, mi sento
chiamare da un uomo che si era avvicinato alle transenne collocate
per delimitare lo spazio tra la folla e il feretro. Mi dice:«Padre,
debbo inginocchiarmi davanti al Papa! Mi aiuti, mi faccia passare! La
prego!».Con gentilezza, ma anche con un po' di fermezza rispondo:
«Cerchi di capire! La gente è tantissima. Non è possibile. Bisogna
che vi accontentiate del solo passaggio». L'uomo insiste, mi prende
la mano e, quasi piangendo, mi ripete: «Debbo inginocchiarmi davanti
al Papa. Debbo dirGli grazie. Io avevo perso la fede e mi ero
totalmente allontanato dalla Chiesa. La fede di quell'uomo - e indicò
il Papa - mi ha riportato alla fede». Lascio passare l'uomo, il
quale si inginocchia e prega: resto alle sue spalle e noto, dal
sussulto, che sta piangendo in preda ad un'irrefrenabile emozione.
Poi si alza, si allontana: non so chi sia; lo saprò in Cielo.
Due
giorni dopo. Continua il pellegrinaggio, anzi l'onda sembra che
cresca di numero e di intensità. Un giovane, tra i venti e i
venticinque anni, mi fa cenno che vuole parlarmi. Esito ad
accostarmi, perché temo che anche lui voglia un'eccezione al
necessario servizio d'ordine. Ma l'insistenza è tale che devo
ascoltarlo. Quando sono accanto a lui, arrotola la camicia fino a
denudare tutto il braccio destro: scorgo in modo inequivocabile i
segni lasciati da un uso ripetuto di siringa per droga. Il
giovane mi sussurra piangendo: «Io sono vecchio, mentre quel vecchio
era giovane! Non chiedo di avvicinarmi. Gli baci i piedi per me: è
il mio grazie!». Evidentemente, con le lacrime agli occhi, ho
compiuto la missione affidatami dal giovane sconosciuto: ho baciato i
piedi e ho detto «grazie».
Nessun commento:
Posta un commento