Si celebra oggi la cinquantesima giornata mondiale delle comunicazioni sociali.
Riportiamo, di seguito, il messaggio del Santo Padre Francesco.
Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo
Cari
fratelli e sorelle,
l’Anno
Santo della Misericordia ci invita a riflettere sul rapporto tra la
comunicazione e la misericordia. In effetti la Chiesa, unita a
Cristo, incarnazione vivente di Dio Misericordioso, è chiamata a
vivere la misericordia quale tratto distintivo di tutto il suo essere
e il suo agire. Ciò che diciamo e come lo diciamo, ogni parola e
ogni gesto dovrebbe poter esprimere la compassione, la tenerezza e il
perdono di Dio per tutti. L’amore, per sua natura, è
comunicazione, conduce ad aprirsi e a non isolarsi. E se il nostro
cuore e i nostri gesti sono animati dalla carità, dall’amore
divino, la nostra comunicazione sarà portatrice della forza di Dio.
Siamo
chiamati a comunicare da figli di Dio con tutti, senza esclusione. In
particolare, è proprio del linguaggio e delle azioni della Chiesa
trasmettere misericordia, così da toccare i cuori delle persone e
sostenerle nel cammino verso la pienezza della vita, che Gesù
Cristo, inviato dal Padre, è venuto a portare a tutti. Si tratta di
accogliere in noi e di diffondere intorno a noi il calore della
Chiesa Madre, affinché Gesù sia conosciuto e amato; quel calore che
dà sostanza alle parole della fede e che accende nella predicazione
e nella testimonianza la “scintilla” che le rende vive.
La
comunicazione ha il potere di creare ponti, di favorire l’incontro
e l’inclusione, arricchendo così la società. Com’è bello
vedere persone impegnate a scegliere con cura parole e gesti per
superare le incomprensioni, guarire la memoria ferita e costruire
pace e armonia. Le parole possono gettare ponti tra le persone, le
famiglie, i gruppi sociali, i popoli. E questo sia nell’ambiente
fisico sia in quello digitale. Pertanto, parole e azioni siano tali
da aiutarci ad uscire dai circoli viziosi delle condanne e delle
vendette, che continuano ad intrappolare gli individui e le nazioni,
e che conducono ad esprimersi con messaggi di odio. La parola del
cristiano, invece, si propone di far crescere la comunione e, anche
quando deve condannare con fermezza il male, cerca di non spezzare
mai la relazione e la comunicazione.
Vorrei,
dunque, invitare tutte le persone di buona volontà a riscoprire il
potere della misericordia di sanare le relazioni lacerate e di
riportare la pace e l’armonia tra le famiglie e nelle comunità.
Tutti sappiamo in che modo vecchie ferite e risentimenti trascinati
possono intrappolare le persone e impedire loro di comunicare e di
riconciliarsi. E questo vale anche per i rapporti tra i popoli. In
tutti questi casi la misericordia è capace di attivare un nuovo modo
di parlare e di dialogare, come ha così eloquentemente espresso
Shakespeare: «La misericordia non è un obbligo. Scende dal cielo
come il refrigerio della pioggia sulla terra. È una doppia
benedizione: benedice chi la dà e chi la riceve» (Il mercante di
Venezia, Atto IV, Scena I).
E’
auspicabile che anche il linguaggio della politica e della diplomazia
si lasci ispirare dalla misericordia, che nulla dà mai per perduto.
Faccio appello soprattutto a quanti hanno responsabilità
istituzionali, politiche e nel formare l’opinione pubblica,
affinché siano sempre vigilanti sul modo di esprimersi nei riguardi
di chi pensa o agisce diversamente, e anche di chi può avere
sbagliato. È facile cedere alla tentazione di sfruttare simili
situazioni e alimentare così le fiamme della sfiducia, della paura,
dell’odio. Ci vuole invece coraggio per orientare le persone verso
processi di riconciliazione, ed è proprio tale audacia positiva e
creativa che offre vere soluzioni ad antichi conflitti e
l’opportunità di realizzare una pace duratura. «Beati i
misericordiosi, perché troveranno misericordia [...] Beati gli
operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt
5,7.9).
Come
vorrei che il nostro modo di comunicare, e anche il nostro servizio
di pastori nella Chiesa, non esprimessero mai l’orgoglio superbo
del trionfo su un nemico, né umiliassero coloro che la mentalità
del mondo considera perdenti e da scartare! La misericordia può
aiutare a mitigare le avversità della vita e offrire calore a quanti
hanno conosciuto solo la freddezza del giudizio. Lo stile della
nostra comunicazione sia tale da superare la logica che separa
nettamente i peccatori dai giusti. Noi possiamo e dobbiamo giudicare
situazioni di peccato – violenza, corruzione, sfruttamento, ecc. –
ma non possiamo giudicare le persone, perché solo Dio può leggere
in profondità nel loro cuore. È nostro compito ammonire chi
sbaglia, denunciando la cattiveria e l’ingiustizia di certi
comportamenti, al fine di liberare le vittime e sollevare chi è
caduto. Il Vangelo di Giovanni ci ricorda che «la verità vi farà
liberi» (Gv 8,32). Questa verità è, in definitiva, Cristo
stesso, la cui mite misericordia è la misura della nostra maniera di
annunciare la verità e di condannare l’ingiustizia. È nostro
precipuo compito affermare la verità con amore (cfr Ef 4,15).
Solo parole pronunciate con amore e accompagnate da mitezza e
misericordia toccano i cuori di noi peccatori. Parole e gesti duri o
moralistici corrono il rischio di alienare ulteriormente coloro che
vorremmo condurre alla conversione e alla libertà, rafforzando il
loro senso di diniego e di difesa.
Alcuni
pensano che una visione della società radicata nella misericordia
sia ingiustificatamente idealistica o eccessivamente indulgente. Ma
proviamo a ripensare alle nostre prime esperienze di relazione in
seno alla famiglia. I genitori ci hanno amato e apprezzato per quello
che siamo più che per le nostre capacità e i nostri successi. I
genitori naturalmente vogliono il meglio per i propri figli, ma il
loro amore non è mai condizionato dal raggiungimento degli
obiettivi. La casa paterna è il luogo dove sei sempre accolto (cfr
Lc 15,11-32). Vorrei incoraggiare tutti a pensare alla società
umana non come ad uno spazio in cui degli estranei competono e
cercano di prevalere, ma piuttosto come una casa o una famiglia dove
la porta è sempre aperta e si cerca di accogliersi a vicenda.
Per
questo è fondamentale ascoltare. Comunicare significa condividere, e
la condivisione richiede l’ascolto, l’accoglienza. Ascoltare è
molto più che udire. L’udire riguarda l’ambito
dell’informazione; ascoltare, invece, rimanda a quello della
comunicazione, e richiede la vicinanza. L’ascolto ci consente di
assumere l’atteggiamento giusto, uscendo dalla tranquilla
condizione di spettatori, di utenti, di consumatori. Ascoltare
significa anche essere capaci di condividere domande e dubbi, di
percorrere un cammino fianco a fianco, di affrancarsi da qualsiasi
presunzione di onnipotenza e mettere umilmente le proprie capacità e
i propri doni al servizio del bene comune.
Ascoltare
non è mai facile. A volte è più comodo fingersi sordi. Ascoltare
significa prestare attenzione, avere desiderio di comprendere, di
dare valore, rispettare, custodire la parola altrui. Nell’ascolto
si consuma una sorta di martirio, un sacrificio di sé stessi in cui
si rinnova il gesto sacro compiuto da Mosè davanti al roveto
ardente: togliersi i sandali sulla “terra santa” dell’incontro
con l’altro che mi parla (cfr Es 3,5). Saper ascoltare è
una grazia immensa, è un dono che bisogna invocare per poi
esercitarsi a praticarlo.
Anche
e-mail, sms, reti sociali, chat possono essere forme di comunicazione
pienamente umane. Non è la tecnologia che determina se la
comunicazione è autentica o meno, ma il cuore dell’uomo e la sua
capacità di usare bene i mezzi a sua disposizione. Le reti sociali
sono capaci di favorire le relazioni e di promuovere il bene della
società ma possono anche condurre ad un’ulteriore polarizzazione e
divisione tra le persone e i gruppi. L’ambiente digitale è una
piazza, un luogo di incontro, dove si può accarezzare o ferire,
avere una discussione proficua o un linciaggio morale. Prego che
l’Anno Giubilare vissuto nella misericordia «ci renda più aperti
al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma
di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di
discriminazione» (Misericordiae
Vultus,
23). Anche in rete si costruisce una vera cittadinanza. L’accesso
alle reti digitali comporta una responsabilità per l’altro, che
non vediamo ma è reale, ha la sua dignità che va rispettata. La
rete può essere ben utilizzata per far crescere una società sana e
aperta alla condivisione.
La
comunicazione, i suoi luoghi e i suoi strumenti hanno comportato un
ampliamento di orizzonti per tante persone. Questo è un dono di Dio,
ed è anche una grande responsabilità. Mi piace definire questo
potere della comunicazione come “prossimità”. L’incontro tra
la comunicazione e la misericordia è fecondo nella misura in cui
genera una prossimità che si prende cura, conforta, guarisce,
accompagna e fa festa. In un mondo diviso, frammentato, polarizzato,
comunicare con misericordia significa contribuire alla buona, libera
e solidale prossimità tra i figli di Dio e fratelli in umanità.
Dal
Vaticano, 24 gennaio 2016
Francesco
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