venerdì 13 novembre 2015

C’è voglia di camminare insieme

Il primo appuntamento della mattinata è la condivisione delle sintesi e delle proposte elaborate nei gruppi di lavoro.

Eccone una sintesi. I documenti integrali potranno essere scaricati dai link in fondo a questa pagina.

USCIRE

Don Duilio Albarello, Docente di teologia fondamentale (Facoltà Teologica Italia Settentrionale)

Per introdurre questa relazione finale sulla via dell’«uscire», faccio riferimento ad un passaggio del discorso che ci ha rivolto papa Francesco: «Voi uscite per le strade e andate ai crocicchi: tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso (cfr Mt 22,9). Soprattutto accompagnate chi è rimasto al bordo della strada, «zoppi, storpi, ciechi, sordi» (Mt 15,30). Dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo».
La messa a fuoco delle linee di azione ci chiede infine di rimarcare alcuni impegni più precisi, da affidare allo sforzo creativo di progettualità delle nostre Chiese locali. Ne evidenzio tre:

1) Avviare un processo sinodale: l’esperienza vissuta durante i giorni del Convegno ci ha permesso di saggiare e condividere uno stile di ascolto e di confronto; ci ha fatto sperimentare che è realmente possibile esercitare il discernimento comunitario, anche attraverso la fatica benedetta del lavorare assieme di laici, presbiteri, vescovi, religiose e religiosi.
2) Formare all’audacia della testimonianza: occorre avviare processi che abilitino i battezzati ad essere evangelizzatori attenti, capaci di coltivare le domande che provengono dall’esperienza di fede e di andare incontro a tutte le persone animate da una autentica ricerca di senso e di giustizia.
3) Promuovere il coraggio di sperimentare: è l’indicazione formulata ancora dalla tavola dei giovani, i quali propongono ad ogni comunità cristiana di «costituire un piccolo drappello di esploratori del territorio, che non si perdano in ampollose analisi sociologiche o culturali, ma si impegnino ad incontrare le persone, soprattutto nelle periferie esistenziali dove l'uomo è marginalizzato.

ANNUNCIARE

Flavia Marcacci, Docente di storia del pensiero scientifico (Pontificia Università Lateranense)

Annunciare è gioire, è aumentare la propria vita (EG 10); è «osare», afferma un gruppo; «è condividere», perché non esiste gioia che non senta il bisogno di essere condivisa. La Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione (Benedetto XVI, 13 maggio 2007, cit. in EG 14). Annunciare la gioia, non la paura: la gioia non è allegrezza da esibire, né superficialità, né senso di superiorità, né sarcasmo, né cinismo, ma profondità, leggerezza e umiltà. Annunciare è la novità che si matura nell’ascolto, e nei gruppi è emerso un grande desiderio di mettersi in ascolto, ancor prima di parlare.
Cosa propongono in sintesi i 500 della via Annunciare? Quali impegni chiedono alla Chiesa oggi in relazione alla nostra via?
  • Passare da una attenzione esclusiva verso chi viene evangelizzato a una specifica attenzione a chi evangelizza. Qui emerge tutta l’importanza della comunità ecclesiale come soggetto di evangelizzazione e al suo interno, in particolare, delle famiglie.
  • Attenzione alla formazione. Vari gruppi considerano necessaria «la revisione del sistema educativo della Chiesa»: non solo l’iniziazione cristiana e l’educazione dei bambini e dei ragazzi, ma la stessa formazione degli operatori, con particolare attenzione agli itinerari formativi che coinvolgono preti, religiosi e laici, uomini e donne. Del resto «Gesù lavorò molto con i propri discepoli», nota un altro gruppo. «Occorre il coraggio di partire da sé stessi». Occorre professionalità, rigore e capacità di attingere dalla ricchezza della cultura cristiana per poi confrontarsi davvero con le istanze del nostro tempo.
  • Quanto alla modalità della proposta occorre continuare il lavoro circa il rinnovamento degli itinerari: con adulti, con giovani coppie, con adolescenti e giovani, con bambini e famiglie, e così via, coinvolti nei cammini dell’iniziazione cristiana. Anche la ritrovata attenzione allo stile catecumenale aiuta a ideare non corsi ma percorsi, dove offrire contenuti, ma soprattutto aiutare a vivere sempre più autenticamente il Vangelo.
      Infine è stato manifestato grande interesse alla questione dei linguaggi: occorre che siano chiari e diretti, semplici e profondi, capaci di portare a tutti la Parola. È così profonda la sete di Parola che si chiede di condividerla e non riservarla ai soli specialisti, pur riconoscendo l’importanza del loro lavoro.

ABITARE

Adriano Fabris, Ordinario di filosofia morale (Università di Pisa)

Da tutti i gruppi è emerso con chiarezza che “abitare” è un verbo che, come viene mostrato anche nella Evangelii Gaudium, non indica semplicemente qualcosa che si realizza in uno spazio. Non si abitano solo luoghi: si abitano anzitutto relazioni. Non si tratta di qualcosa di statico, che indica uno “star dentro” fisso e definito, ma l’abitare implica una dinamica. È la stessa dinamica che attraversa le altre vie, e soprattutto la via dell’educare. Molti, anzi, hanno visto l’abitare e l’educare strettamente collegati fra loro.
Ma in che cosa consistono, concretamente, queste relazioni buone che ci troviamo ad abitare, e che dobbiamo rilanciare e praticare nella vita di tutti i giorni? Esse possono venir sintetizzate da alcuni verbi, che sono stati utilizzati, tutti o solo alcuni, dai vari gruppi. Questi verbi sono: ascoltare, lasciare spazio, accogliere, accompagnare e fare alleanza.
Abitare le relazioni, anche in famiglia, significa però essere capaci di lasciare spazio all’altro. La necessità che venga lasciato spazio all’atro è sottolineata soprattutto dai più giovani. C’è il problema, qui, dei rapporti fra le generazioni. Qualcuno ha detto, letteralmente: “Noi figli abbiamo bisogno di far pace con un mondo adulto che non vuole lasciarci le chiavi, che ci nega la fiducia e allo stesso tempo non esita a scandalizzarci ogni giorno”.
L’elenco dei verbi più “gettonati” dai gruppi al fine di declinare concretamente il nostro abitare – accogliere significa anche, sempre, accompagnare e fare alleanza. Accompagnare le persone che hanno bisogno di noi; accompagnarle nelle difficoltà, nella malattia, anche nella morte. E tutto questo nei luoghi in cui viviamo tutti i giorni.
Un ultimo aspetto è stato infine sottolineato da tutti i gruppi. Si tratta della necessità di ripensare l’impegno a favore della propria comunità. Si tratta di ripensare la politica, e di farlo in una chiave che sia davvero comunitaria. Alcuni hanno detto: non bisogna semplicemente delegare, e poi disinteressarsi di ciò che viene deciso in nostro nome. Bisogna accompagnare i decisori, che sono i nostri rappresentanti; non bisogna lasciarli soli. Una nuova capacità di abitare le relazioni – un “nuovo umanesimo” – si collega e si esprime anche nella partecipazione e nell’impegno per una vera cittadinanza attiva.
EDUCARE

Suor Pina Del Core, Preside della Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium

Gli orientamenti pastorali della Chiesa Italiana per il decennio in corso hanno puntato sull’educazione come punto prospettico da cui avviare processi di conversione pastorale nelle comunità ecclesiali e nella prassi educativa ed evangelizzatrice messa in atto nella concretezza della vita ordinaria.
Si è osservato che la sfida educativa è avvertita come centrale da molti uomini e donne del nostro tempo e costituisce un luogo privilegiato di incontro con tante persone a diversi livelli ed ambiti della società: siamo diventati più consapevoli che l’educazione è questione decisiva che riguarda tutti e non solo coloro che sono direttamente interessati e ad essa dedicati nella tensione verso il compimento della persona e la realizzazione di un autentico umanesimo.
La comunità cristiana punta sull’educazione integrale della persona e sulla credibilità dell’educatore che si pone innanzitutto come testimone, come chi è stato lui per primo ‘educato’ da Cristo e ha trovato in Lui il senso della sua vita.
Saremmo però miopi se non rilevassimo anche le difficoltà che quotidianamente si incontrano nell’opera educativa. Tra queste, le due tentazioni indicate da papa Francesco nel suo discorso nella Cattedrale di Firenze si applicano bene anche all’educazione: c’è il rischio cioè da una parte di privilegiare l’attivismo e di cedere ad una “burocratizzazione impersonale” delle dinamiche formative; dall’altra, di assecondare una certa tendenza all’astrazione e all’intellettualismo slegato dall’esperienza.
Le linee principali di azione che emergono dalle scelte proposte nei gruppi si possono ricondurre a tre nuclei:
  • la rilevanza di una comunità che educa e che è capace di mettersi in rete
  • l’urgenza della formazione dell’adulto;
  • i nuovi linguaggi nell’educazione.
Applicando all’educazione quanto ci diceva il Papa sulla “beatitudine”, siamo convinti che per educare “occorre avere il cuore aperto”. L’educazione “è una scommessa laboriosa, fatta di rinunce, ascolto e apprendimento, i cui frutti si raccolgono nel tempo”, regalandoci una gioia incomparabile. Incoraggiati dalle parole di Papa Francesco e dall’esperienza di queste giornate, vogliamo continuare a credere nel potere umile dell’educazione e nella sua forza trasformatrice della storia e della società di ogni tempo.

TRASFIGURARE

Goffredo Boselli, Liturgista, monaco di Bose

Trasfigurare è far emergere la bellezza che c'è, e che il Signore non si stanca di suscitare nella concretezza dei giorni, delle persone che incontriamo e delle situazioni che viviamo.
Dal confronto nei gruppi sono emerse tre fatiche che le nostre comunità vivono nell’attingere pienamente alle risorse di cui dispongono: un attivismo talvolta eccessivo, una insufficiente integrazione tra liturgia e vita, una certa frammentarietà della proposta pastorale.
Prima fatica. Di fronte a un certo attivismo pastorale è emersa l’esigenza, soprattutto da parte del tavolo dei giovani, di proporre cammini di fede che comprendano esperienze significative di preghiera, di formazione liturgica e di accompagnamento spirituale.
Seconda fatica. Un’insufficiente integrazione tra liturgia e vita è sperimentata come una mancanza di coinvolgimento esistenziale del credente con il mistero di Cristo celebrato.
Terza fatica. Rilevando una certa frammentarietà della proposta pastorale si è evidenziata la difficoltà di tenere insieme annuncio, liturgia e carità, spezzando così l’alleanza tra Parola di Dio e profezia, tra Parola e partecipazione ai sacramenti, tra Parola e carità.
Le linee di azione indicate dai gruppi si possono raccogliere in tre grandi ambiti: Parola di Dio, liturgia e carità.
Da tutti i gruppi è stato ribadito il primato della parola di Dio annunciata, ascoltata e pregata. Per questo occorre rilanciare la lectio divina, ritenuto un esercizio molto valido per una lettura sapienziale ed esistenziale delle sante Scritture.
E’ poi emersa la liturgia come evento di trasfigurazione sia in quanto culmine che in quanto fonte di tutta la vita cristiana. Circa la risorsa della domenica è emersa la necessità di una sua piena valorizzazione, nella sua dimensione di festa del popolo di Dio e nella sua carica umanizzante
Infine, come terza linea di azione, sono stati indicati i luoghi di trasfigurazione dell’umano nell’esercizio di una carità capace di accogliere e coinvolgere tutti con umiltà, disinteresse e gioia delle beatitudini, come il Papa ci ha ricordato. Infine, la pietà popolare vissuta come un’opportunità e non come un problema pastorale.
Impegni
Dal discernimento operato dai partecipanti alla quinta via, cogliamo tre consegne:

Prima consegna. Il rinnovamento liturgico del Concilio è una realtà in atto che chiede a noi fedeltà e responsabilità.
Per questo, dobbiamo continuare a camminare, senza incertezze e ripensamenti, sulla via tracciata dalla riforma liturgica conciliare, perché dal rinnovamento della liturgia passerà ancora il rinnovamento della Chiesa stessa.
Seconda consegna. La Chiesa che celebra e che prega è anche la Chiesa in uscita
Non possiamo nascondere il timore che, se compreso in modo distorto, l’invito evangelico di papa Francesco a una Chiesa sempre in uscita, possa far pensare che tra la chiesa in preghiera e la chiesa in uscita possa esserci contrapposizione: l’una rivolta al suo interno attraverso la preghiera, la liturgia e i sacramenti; l’altra impegnata a uscire per raggiunge tutte le periferie. No, non ci sono due chiese, perché uno è il Cristo vivente.
Terza consegna. Far vivere l’umanità della liturgia è il compito che ci attende.
Una delle acquisizioni di questo Convegno ecclesiale è aver raggiunto la consapevolezza che la realizzazione del nuovo umanesimo in Gesù Cristo non può prescindere dalla natura profondamente umana e autenticamente divina della liturgia.


Negli anni che ci stanno davanti sarà più che mai necessario incamminare le comunità cristiane verso la ricerca di una sempre maggiore umanità della loro liturgia, facendo in modo che i credenti assidui come quelli occasionali, attraverso l’umanità del gesto, del linguaggio e dello stile liturgico, facciano esperienza dell’umanità di Dio rivelata da Gesù Cristo. 

Documenti integrali (pdf):

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- ABITARE
- EDUCARE
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