domenica 31 luglio 2016

VERBO DI DIO: Liturgia della Parola della XVIII Domenica del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA
(Qo 1,2;2,21-23)

Quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica?
Dal libro del Qoèlet

Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità: tutto è vanità.
Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male.
Infatti, quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità!

Parola di Dio


SECONDA LETTURA
(Col 3,1-5.9-11)

Cercate le cose di lassù, dove è Cristo.


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi

Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.
Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria.
Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato.
Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.

Parola di Dio
VANGELO
(Lc 12,13-21)


Quello che hai preparato, di chi sarà?


+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Parola del Signore

Gradini di Santità

La lettera ai Colossesi (II lettura) ricorda a noi credenti che nel battesimo è avvenuta una profonda trasformazione: il modo di vivere che abbiamo “rivestito” è quello stesso di Cristo e pertanto dobbiamo volgerci alle “cose di lassù”. Non possiamo tornare a vivere da idolatri, assolutizzando i beni di questo mondo. La parabola dell’uomo ricco (Vangelo) mostra l’inconsistenza di chi vive la propria esistenza nell’assillo continuo di accumulare beni per poter avere un futuro agiato. Prima di tutto perché quei beni sono una falsa sicurezza: «la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Poi perché tutta la fatica e le preoccupazioni per accrescere e custodire quei beni avrà come esito inevitabile il lasciarli «a un altro che non vi ha per nulla faticato» (I Lettura). 

Infine, quando al termine della sua vita si troverà davanti al giudizio di Dio, troppo tardi si renderà conto di essere radicalmente povero davanti a lui. L’attaccamento egoistico ai beni è idolatria, separa da Dio e rompe il rapporto di solidarietà col prossimo. Come uomini nuovi, abbiamo imparato da Cristo a condividere tutto con i fratelli: è questa la vera ricchezza che rimane per l’eternità. 


Agatino Gugliarassp – La Domenica

domenica 24 luglio 2016

VERBO DI DIO: Liturgia della Parola della XVII Domenica del tempo ordinario

PRIMA LETTURA 
(Gen 18,20-32)

Non si adiri il mio Signore, se parlo.


Dal libro della Gènesi

In quei giorni, disse il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!».
Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore.
Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo».
Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque».
Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci».

Parola di Dio




SECONDA LETTURA 
(Col 2,12-14) 

Con lui Dio ha dato vita anche a voi, perdonando tutte le colpe. 


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi

Fratelli, con Cristo sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti.
Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce.

Parola di Dio




VANGELO 
(Lc 11,1-13) 

Chiedete e vi sarà dato. 



Dal Vangelo secondo Luca

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
“Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione”».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

Parola del Signore

17a DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO. Commento di don Piero De Santis


«Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni il Battezzatore ha insegnato ai suoi discepoli»: questa è la domanda che anche noi, oggi, rivolgiamo al Signore Gesù, ascoltando in risposta la sua catechesi sulla preghiera (Lc 11,1-13).

La richiesta dei discepoli nasce dal vedere Gesù in pre­ghiera: nel deserto, nella notte, al mattino presto egli preserva tenacemente il tempo essenziale per nutrire la relazione con Dio che lo ha mandato e che gli dà la forza per vivere al servizio suo e degli uomini. Luca è l'evangelista che insiste maggiormente sulla preghiera di Gesù, collegandola ai momenti salienti della sua vita, dalla preghiera durante il battesimo (cfr. Lc 3,21-22) fino a quella con cui sulla croce Gesù invoca dal Padre il perdono per i suoi carnefici (cfr. Lc 23,34) e poi consegna il proprio respiro nelle sue mani (cfr. Lc 23,46). Gesù dunque insegna ciò che lui stesso vive in prima persona. La sua è una preghiera personalissima, in cui si rivolge a Dio chiamandolo «Papà», con la sfumatura di particolare confidenza insita nel termine Abbà (cfr. Mc 14,36); è la porta d'accesso al mistero della sua persona, tutta sotto il segno della filialità nei confronti del Padre amato.

Ecco perché egli risponde ai discepoli ammaestrandoli con il «Padre nostro», «compendio di tutto il Vangelo» (Tertulliano). II Pater - che oggi ascoltiamo nella versione di Luca - più che una formula costituisce un compendio delle indicazioni di Gesù sparse nei quattro vangeli: e una traccia, un canone che ricapitola l'essenziale della preghiera cristiana. All'invocazione: «Padre», seguono cinque domande, poste in un ordine precise. Innanzitutto si prega per Dio, chiedendogli che il suo Nome sia santificato, che tutti possano cioè riconoscerlo quale Dio tre volte Santo. Domandando: «Venga il tuo Regno», si invoca che la signoria di Dio si manifesti sulla terra attraverso la pace, la giustizia, la riconciliazione; nel contempo, si chiede la venuta escatologica del Regno, inaugurato da Gesù (cfr. Lc 11,20; 17,21), ma non ancora realizzato compiutamente. Solo in un secondo momento il cristiano prega per i propri bisogni: il pane quotidiano, frutto della benedizione di Dio sul lavoro dell'uomo; il perdono dei peccati, condizionato dal perdono accordato ai fratelli (cfr. Mt 6,14-15); l'aiuto di Dio per non soccombere nell'ora della tentazione.

Attraverso la parabola dell'amico che disturba un altro amico nel cuore della notte per chiedergli del pane, Gesù sottolinea poi che la preghiera deve essere contraddistinta da perseveranza e insistenza fiduciosa, quelle mostrate da Abramo (cfr. Gen 18,20-32) e Mose (cfr. Es 32,11-14.30-32). Egli commenta: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto»; e altrove afferma: «Tutto ciò che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo già ottenuto e vi sarà accordato» (Mc 11,24). Infatti «il Padre sa di quali cose abbiamo bisogno ancor prima che gliele chiediamo» (cfr. Mt 6,8), e nessuno di noi può pensare che egli dia pietre al posto del pane: noi siamo cattivi ma Dio è buono, e la nostra preghiera filiale si misura sulla fede salda in lui!

Infine Gesù conclude: «Se voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito santo a quelli che glielo chiedono!». Se nel passo parallelo di Matteo si legge che Dio darà «cose buone» (Mt 7,11), qui si parla dello Spirito Santo come del dono che il Padre non fa mai mancare a chi aderisce a lui: lo Spirito è davvero la cosa buona per eccellenza, e il dono dei doni. Le prime parole che possiamo balbettare nella preghiera sono quelle con cui invochiamo la discesa dello Spi­rito, certi che in questa domanda sono incluse tutte le altre. «Noi non sappiamo cosa domandare per pregare come si deve, ma lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza e intercede per noi con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26): solo lo Spirito può farci ascoltare Dio e suggerirci parole che ci pongano in dialogo con lui, perché ci consente di assumere il suo volere.

Lo Spirito versa nei nostri cuori la capacità di riconoscerci figli di Dio e fratelli di Gesù; di riconoscere tutti e tutto come voluti, creati e amati da Dio. E così la preghiera ci trasforma, portandoci a vivere la relazione con il Padre, attraverso il Figlio Gesù Cristo, nella potenza dello Spirito santo.

GRADINI DI SANTITA'

La giustizia è certamente importante, ma insufficiente a regolare i nostri rapporti con Dio. Abramo ne fa tristemente la prova nella ricerca della salvezza delle città peccatrici, Sodoma e Gomorra; la sua sicurezza si dissolve progressivamente di fronte all’evidenza dei numeri. Fare i conti con Dio è fallimentare (I Lettura). È necessario, allora, percorrere un’altra via, insegnataci da Gesù stesso, quella della misericordia di Dio, adombrata nella parabola dell’amico importunato. 
Dio è molto più di un amico, anzi, molto più persino di un padre terreno, perché il Padre del cielo giunge fino a dare lo Spirito Santo (il Dono in assoluto) a chi glielo chiede (Vangelo). La completa disponibilità di Dio è garantita da quella «potenza di Dio che ha risuscitato Cristo dai morti» e che agisce in noi, perché «con lui Dio ha dato vita anche a noi, morti per i nostri peccati». La giustizia si sposa al perdono (II Lettura). Occorre ricreare nelle singole comunità cristiane una differente area vitale: luoghi di culto da trasformare in luoghi del perdono, dell’annuncio evangelico, della carità, dell’accoglienza, dell’aiuto al fedele esitante e all’uomo in ricerca. 

Tarcisio StramareosjLa Domenica

domenica 17 luglio 2016

VERBO DI DIO: Liturgia della parola della XVI Domenica del tempo ordinario

PRIMA LETTURA (Gn 18,1-10)
Signore, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo.

Dal libro della Gènesi

In quei giorni, il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno.
Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto».
Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono.
Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».

Parola di Dio




SECONDA LETTURA (Col 1,24-28)
Il mistero nascosto da secoli, ora è manifestato ai santi.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi

Fratelli, sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.
Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi.
A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.

Parola di Dio




VANGELO (Lc 10,38-42)
Marta lo ospitò. Maria ha scelto la parte migliore.

+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Parola del Signore

16a DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO. Commento di don Piero De Santis


Mentre Gesù e in cammino verso Gerusalemme giunge nel villaggio di Betania, dove viene accolto da Marta e Maria (cfr. Gv 11,1 -44; 12,1-11), sorelle di Lazzaro, che sovente lo ospitavano nella loro casa, offrendo il conforto dell'amicizia e un luogo di riposo al «Figlio dell'uomo che non aveva una pietra su cui posare il capo» (cfr. Lc 9,58).

Marta invita Gesù a entrare e si mette a servirlo, in un atteggiamento che pare esemplare: apparecchia la tavola, prepara il cibo, dispone tutto per fare festa a quell'ospite che lei riconosce come Maestro e Signore. Maria invece, quasi rapita dalla presenza di Gesù, fa un'altra cosa: si siede ai suoi piedi e ascolta con tutta se stessa la sua parola. Questo è fare attenzione all'ospite che si riceve e ascoltare ciò che e venuto a dirci. Sono due diverse modalità di accoglienza del Signore, ugualmente premurose. Ma ecco che il generoso attivismo di Marta e il suo essere «trascinata qua e là» dai molti servizi la porta ad accusare sua sorella: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille che mi aiuti!». Di fronte a tale richiesta Gesù compie un lucido discernimento ed emette un giudizio netto, fornendo un insegnamento fondamentale ai suoi discepoli di ogni tempo: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola e la cosa di cui c'è bisogno. Maria si e scelta la porzione buona (non "migliore"!), che non le sarà tolta».

Qual è il significato di queste parole? Occorre innanzitutto chiarire che Gesù non sta contrapponendo «vita attiva» e «vita contemplativa», come se pregare fosse «meglio» che servire concretamente i fratelli, anche se purtroppo fin dall'antichità si è data spesso alle sue parole questa interpretazione riduttiva. D'altronde Gesù amava la comunione della tavola e gradiva la sollecitudine di chi si adoperava per rendere la tavola stessa un luogo in cui mangiare insieme nella gioia e nel dialogo fraterno. Ospitare non è solo «fare cose» per chi ci visita, ma anche dargli del proprio tempo, fare di sè uno spazio per l'altro attraverso l'ascolto.

Ecco perché Gesù distingue tra «le molte cose» per le quali Marta si preoccupa e «l'unica cosa necessaria», la «buona porzione» scelta da Maria. Marta è affannata, è in balia della preoccupazione; più volte Gesù ha messo in guardia i suoi discepoli dal cadere preda di questa «malattia» tanto sottile quanto pericolosa: «Non preoccupatevi del domani, ma cercate prima il regno di Dio» (cfr. Lc 12,22-31); «State bene attenti che i vostri cuori non siano appesantiti dalle preoccupazioni» (cfr. Lc 21,34). Per noi cristiani uno dovrebbe essere il desiderio essenziale, non quei tanti desideri per i quali siamo tentati di affannarci: l'ascolto assiduo del Signore, cioè il lasciare che Cristo sia il Signore della nostra vita, che sia lui, con la sua parola e le sue azioni, a orientare la nostra esistenza; lui del quale il Padre ha proclamato: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!» (Lc 9,35).

Non basta servire, occorre diventare servi, e Maria, stando ai piedi di Gesù per ascoltare la sua parola, e come la serva del Signore attenta alla sua voce.

Non dimentichiamo che anche oggi nella chiesa il «fare servizi» può diventare una militanza che fa rumore, che si agita, che giudica gli altri che si comportano diversamente, che si chiude all'ascolto fino a distaccarsene per percorrere i propri cammini, fino a perdere lo stile evangelico.

Sì, Marta e Maria abitano in noi in modo quasi inseparabile. Spesso è Marta che prevale, che si affaccia per prima, spingendoci a correre incontro a Gesù - e agli altri, in cui egli è presente (cfr. Mt 25,31-46) -, ad accoglierlo anche festosamente, ma ponendo in primo piano il nostro attivismo, senza metterci realmente al suo servizio. Maria invece sonnecchia nelle nostre profondità: per lasciarla emergere occorre morire al proprio egoismo e risorgere nell'atteggiamento di chi si pone ai piedi di Gesù per ascoltare con un cuore unificato la sua parola. Solo cosi potremo fare ogni cosa bene e saremo beati, secondo la promessa di Gesù: «Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 11,28). Non dimentichiamo dunque l'invito del Signore: «Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre, io verro da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).

GRADINI DI SANTITA'

BEATI NOI SE SAPREMO ACCOGLIERE LA PAROLA DI DIO

Gesù chiede di essere ospitato nel nostro cuore. Ci prega di fargli un po’ di posto nella nostra esistenza, di dargli un po’ del nostro tempo, di prestargli un po’ della nostra attenzione.

Dalla rivelazione biblica conosciamo come la storia della salvezza sia per noi imprevedibile quanto al suo contenuto come nei suoi tempi e nei suoi modi.
Essa dipende interamente dalla benevolenza di Dio, della quale noi siamo semplicemente i beneficiari. Abramo, vedendo la promessa di una numerosa discendenza ridotta a un figlio naturale, Ismaele, non poteva che essere grandemente sorpreso del modo di agire di Dio. Ma ecco sbocciare un discendente ormai insperato: “Tornerò da te fra un anno a questa data” - dice il Signore ad Abramo – “e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio” (I Lettura).
Se i modi di Dio sono imprevedibili, lo sono anche i tempi, come ci insegna Luca nel racconto della visita di Gesù nella casa delle due sorelle di Lazzaro. Si richiede una particolare sensibilità, quella di Maria, per avvertire la preziosità del momento (Vangelo). Si tratta, infatti, della manifestazione del “mistero”, ossia della presenza trasformatrice di “Cristo in noi”, che ci consente di essere lieti anche nella sofferenza (II Lettura).

Tarcisio Stramare, osjLA DOMENICA

domenica 10 luglio 2016

VERBO DI DIO: Liturgia della Parola della XV Domenica dell tempo ordinario

PRIMA LETTURA 
(Dt 30,10-14)


Questa parola è molto vicina a te, perché tu la metta in pratica.
Dal libro del Deuteronòmio

Mosè parlò al popolo dicendo:
«Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima.
Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».

Parola di Dio


SECONDA LETTURA 
(Col 1,15-20) 

Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi

Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.

Parola di Dio


VANGELO 
(Lc 10,25-37) 
Chi è il mio prossimo? 

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Parola del Signore

COMMENTO ALLA XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO di don Piero De Santis

Nel brano del vangelo di questa quindicesima domenica del tempo ordinario (Lc 10,25-37), un esperto studioso della Legge interroga Gesù ponendogli la domanda essenziale: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna», una vita che non finisca qui sulla terra, ma continui per sempre, nel Regno? L'esigenza posta da quest'uomo e estremamente seria; essa è pero viziata dall'atteggiamento che muove la sua domanda: «Lo interrogo per metterlo alla prova». E lo stesso comportamento di Satana (cfr. Lc 4,2), e quello di chi entra in dialogo con Gesù non per vivere le sue parole, ma si serve di ogni mezzo, anche della Legge di Dio, per tendergli un tranello.
Gesù non polemizza, ma rinvia il suo interlocutore alia competenza che gli e propria, invitandolo a rispondere da solo: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». L'altro fornisce una risposta ineccepibile, citando due passi della Torah che, insieme, formano il primo e più importante dei comandamenti, il cuore della volontà di Dio rivelata nelle Scritture: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente (cfr. Dt 6,5), e il tuo prossimo come te stesso (Lv 19,18)». Si tratta di un precetto che non va commentato, va vissuto! Ecco perché Gesù ribatte: «Hai risposto bene; fà questo e vivrai», avrai la vita eterna. Qui potrebbe chiudersi questo incontro.
Ma il dottore della Legge, evidentemente scosso dalla nettezza dell'affermazione: «Fa questo», comincia a giustificarsi. Egli cerca un'astuta scorciatoia che gli consenta di autoassolversi, di evitare il faccia a faccia con il proprio cuore doppio, non disposto a mettere in pratica ciò che conosce come cosa buona da realizzare. E lo fa con una domanda generica: «Chi e il mio prossimo?». Si, perché ciò che lo inquieta e l'applicazione del comando dell'amore. Ovvero, chi deve essere oggetto del suo amore? Il prossimo? I connazionali? I fratelli nella fede? Gli altri?
Ecco allora che Gesù pone con chiarezza quest'uomo di fronte a se stesso e alla sua responsabilità personale, raccontandogli quella che è nota come «parabola del buon samaritano». Mentre scende da Gerusalemme a Gerico un tale viene assalito dai briganti, che lo derubano e lo lasciano mezzo morto sul ciglio della strada. Accanto a lui passano un sacerdote e un levita, «uomini religiosi» che conoscono bene la Legge di Dio, i quali fingono di non vederlo: si guardano bene dal fermarsi, dall'avvicinarsi al disgraziato in pericolo di vita, e così si giudicano da soli come potenziali omicidi, lontani dal fratello tanto quanto lo sono da Dio. Su quella strada passa poi un samaritano, il «nemico» religioso per i giudei, il credente scismatico ed eretico (cfr. Lc 9,53; Gv 4,9). Egli si avvicina all'uomo «mezzo morto», si fa prossimo a chi è nel bisogno, prendendosi cura di lui: gli medica le ferite, lo carica sul proprio giumento e lo conduce a una locanda dove da istruzioni all'albergatore, impegnandosi a pagare le spese del suo soggiorno.
Al termine della parabola Gesù pone al dottore della Legge la domanda cruciale: «Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che e caduto nelle mani dei briganti?». L'altro risponde: «Chi ha fatto misericordia». E Gesù a lui: «Và e anche tu fa' lo stesso». In tal modo lo rinvia alla sua responsabilità, indicandogli che cosa occorre fare per ereditare la vita eterna: non solo provare misericordia, ma fare misericordia verso chi si incontra lungo le strade della vita, lasciandosi toccare dal suo bisogno... Questo vale anche per noi, nella nostra quotidianità. Non dobbiamo chiederci: «Chi e il mio prossimo?», bensì: «A chi io mi faccio prossimo, a chi mi faccio vicino?». Possiamo infatti trascorrere un'intera esistenza accanto ad altre persone senza mai decidere di incontrarle e di prenderci cura della loro sofferenza, cioè di con-soffrire con loro...

Gesù ci ha chiesto di vivere un amore fattivo, concreto, reale, dopo averci preceduto lui stesso in questo cammino. E lui infatti, secondo l'interpretazione dei più antichi padri della chiesa, il buon samaritano che, spinto dalla compassione, si e fatto vicino all'umanità prostrata e ferita; e lui che con tutta la sua esistenza ci ha narrato le viscere di misericordia del Padre (cfr. Lc 6,36); e lui che ancora oggi, dopo la sua morte e resurrezione, dice a ciascuno di noi: «Prenditi cura del fratello e io ti ricompenserò al mio ritorno».

GRADINI DI SANTITA'

Allo scriba che aveva chiesto a Gesù chi doveva amare come suo prossimo, egli risponde presentando nella parabola del buon Samaritano chi si è comportato da vero prossimo. In questo tempo non mancano occasioni in cui possiamo diventare prossimo di qualche persona sofferente o in necessità
L’odierna liturgia ci presenta l’esigenza centrale e radicale della morale cristiana: l’amore. Ci viene detto che conoscere, amare e incarnare nella propria vita la parola di Dio non è un traguardo irraggiungibile. È, invece, un messaggio iscritto nelle tavole di carne del cuore umano. Il libro del Deuteronòmio (I Lettura) afferma che la parola del Signore è molto vicina, è nella bocca e nel cuore di ognuno. La fedeltà non è compito impossibile, ma alla portata di tutti. Vera saggezza per Israele è osservare i comandi e i decreti di Dio.
L’apostolo Paolo apre la lettera ai Colossesi con un inno espresso in un linguaggio complesso e profondo (II Lettura). In esso si esalta la figura di Cristo, il suo primato e la sua funzione nella creazione e nella ri-creazione dell’uomo. Con la parabola del buon samaritano (Vangelo), Luca mette a fuoco l’amore cristiano, che si esprime in azioni e in parole. Protagonisti: un sacerdote e un levita, espressione di un culto staccato dalla vita, e un samaritano, eterodosso e maledetto, che viene trasformato in modello di vita. Al termine del racconto Gesù suggerisce al dottore della legge e a noi: «Va’ e anche tu fa’ così». 

Domenico Brandolinossp - La Domenica

DALL'AZIONE CATTOLICA: I razzisti non vinceranno

Siamo turbati e rattristati per la morte di Emmanuel Chidi Namdi avvenuta a Fermo nelle Marche per mano di un balordo razzista. Martedì scorso, dopo aver insultato sua moglie Chiniary chiamandola «scimmia», un noto pregiudicato italiano, capo ultrà della locale squadra di calcio, ha aggredito e massacrato di botte Emmanuel, sino a causarne la morte. Nel confidare in una ferma, severa e rapida risposta della giustizia, vogliamo anche sottolineare quanto questo ignobile atto dica tra le righe della tragedia avvenuta.
Il razzismo e la discriminazione razziale non si possono combattere soltanto con le leggi. Affrontare il razzismo esige dagli individui un cambiamento interiore, che a sua volta implica la creazione di una nuova consapevolezza e una maggiore educazione a livello morale e spirituale per plasmare in modo pieno la coscienza individuale e rifiutare così, in modo appropriato, il credo errato nella superiorità razziale e il conseguente odio per intere popolazioni.
È responsabilità di tutti e di ciascuno promuovere questa crescita morale e spirituale, cosicché ogni essere umano venga riconosciuto come dotato di un’innata dignità umana che va protetta e rispettata, principio fondante di tutti i diritti umani universali.
È successo a Fermo. Succede tutti i giorni in ogni angolo del Pianeta. Il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia così come l’odio religioso continuano a distruggere la famiglia umana: vicini divengono nemici e comunità divengono luoghi di violenza e distruzione etnica e religiosa. Nessun Paese e nessuna cultura sono immuni da questo fenomeno. Quindi, ogni Governo nazionale, a iniziare dal nostro, ha l’obbligo di vigilare sulla tutela dei suoi cittadini e di quanti accoglie in nome della solidarietà e del diritto nazionale e internazionale. Parimenti, le forze sane della società civile hanno il dovere di cooperare per onorare la dignità della persona umana indipendentemente dalla razza, dal sesso, dall’origine nazionale, dalla religione o dalle circostanze sociali.
Antonio Martino – Presidenza Nazionale AC

domenica 3 luglio 2016

VERBO DI DIO: Liturgia della parola della XIV Domenica del tempo ordionario

PRIMA LETTURA
(Is 66,10-14)

Io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace.


Dal libro del profeta Isaìa

Rallegratevi con Gerusalemme,
esultate per essa tutti voi che l’amate.
Sfavillate con essa di gioia
tutti voi che per essa eravate in lutto.
Così sarete allattati e vi sazierete
al seno delle sue consolazioni;
succhierete e vi delizierete
al petto della sua gloria.
Perché così dice il Signore:
«Ecco, io farò scorrere verso di essa,
come un fiume, la pace;
come un torrente in piena, la gloria delle genti.
Voi sarete allattati e portati in braccio,
e sulle ginocchia sarete accarezzati.
Come una madre consola un figlio,
così io vi consolerò;
a Gerusalemme sarete consolati.
Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore,
le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba.
La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi».

Parola di Dio


SECONDA LETTURA
(Gal 6,14-18)

Porto le stigmate di Gesù sul mio corpo. 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati

Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.
Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio.
D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo.
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.

Parola di Dio


VANGELO
(Lc 10,1-12.17-20)

La vostra pace scenderà su di lui.


Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».

Parola del Signore.

XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO: Commento di don Piero De Santis

Il brano evangelico odierno  (Lc 10,1-12.17-20) ci presenta le esigenze della missione cristiana: come noi cristiani possiamo annunciare a tutti gli uomini la buona notizia che in Gesù Cristo il regno di Dio si e fatto vicinissimo?
Nel vangelo secondo Luca non ci viene descritto solo l'invio dei Dodici apostoli a Israele (cfr. Lc 9,1-6): durante la salita verso Gerusalemme Gesù, dopo aver annunciato le esigenze della vocazione a due persone che gli chiedono di seguirlo e a un terzo che egli stesso chiama (cfr. Lc 9,57-62), «designa altri settantadue discepoli e li invia a due a due avanti a se in ogni città dove sta per recarsi». Viene così prefigurata alle genti, ai settantadue popoli della terra conosciuti dalla tradizione giudaica (cfr. Gen 10), la missione che giungerà fino ai confini della terra dopo la morte e resurrezione di Gesù (cfr. Lc 24,47).
«La messe e molta, ma gli operai sono pochi»: questi pochi sono i Dodici, sono i settantadue, sono le comunità in minoranza in seno al giudaismo e al mondo pagano; e «il piccolo gregge» (Lc 12,32), nome coniato da Gesù per la sua chiesa di ogni tempo. Eppure la sproporzione tra l'ingente messe e la scarsità di operai può essere colmata dalla preghiera perché il Signore della messe invii operai: al momento dell'invio dei discepoli il primo comando e la preghiera. Del resto, non c'e missione che non sia preceduta da una supplica a Dio; non c'e evangelizzazione senza domanda che «Dio apra la porta della predicazione e così possiamo annunciare il mistero di Cristo» (Col 4,3). Del resto, non aveva lo stesso Gesù dato l'esempio, pregando prima di chiamare i Dodici ?
Ora Gesù invia quei pochi discepoli non da soli ma a coppie perché la loro comunione fraterna e già annuncio del Regno: il Vangelo che trova nell'amore il suo centro e testimoniato da persone che si sostengono e si correggono a vicenda. Essi sono mandati «come agnelli in mezzo a lupi» ad annunciare il Regno e la sua pace: sono inermi, dotati solo della capacita conferita loro da Gesù di sottrarre terreno all'azione di Satana, attraverso parole e azioni che attingono la loro efficacia dalla potenza del Signore (cfr. Lc 9,1). Come già nel primo invio, Gesù delinea alcune caratteristiche che qualificano la missione e che si possono riassumere nella radicalità necessaria per testimoniare il Vangelo. L'aspetto dell'inviato deve essere segno che quanto egli annuncia lo vive in prima persona: tutto deve mostrare la povertà e il senso di urgenza che pervadono la missione, perché lo stile di colui che annuncia il Vangelo e costitutivo dell'annuncio stesso! Povertà e precarietà non sono di ostacolo all'efficacia della missione, ma sono le condizioni da vivere in profondità affinché la missione sia reale: non basta avere pochi mezzi, occorre essere poveri; non basta annun­ciare la pace, occorre essere operatori di pace. E se Cristo è venuto a portare la pace a tutti gli uomini (cfr. Ef 2,17), anche a chi non lo ha accolto, altrettanto dovranno fare i suoi discepoli, senza invocare una vendetta dal cielo su chi li respinge (cfr. Lc 9,54).
E a questi inviati, poveri e pacifici, che Gesù dice: «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me». Ecco la grande responsabilità dei cristiani: come Gesù con la sua vita ha narrato il Padre (cfr. Gv 1,18), ora tocca a noi narrare lui, essere i suoi testimoni nel mondo (cfr. Lc 24,48). Davvero la missione cristiana altro non è che la manifestazione della sequela di Cristo da parte di chi accoglie la sua chiamata e lo ama con tutto se stesso. Chi si affida radicalmente a lui sperimenta la sua protezione e ascolta la sua voce che lo rassicura: «Nulla potrà farvi del male»... Anche di fronte al successo della missione, al constatare che «i demoni si sottomettono a lui nel Nome di Cristo», il cristiano riconoscerà che ciò e dovuto essenzialmente all'intercessione di Cristo stesso: «Io vi ho dato il potere di sconfiggere il nemico». E così vivrà la sua parola: «Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi, ma piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
Si, la nostra gioia consiste nella protezione del Signore, nel fatto che egli, dopo averci chiamati, non deluderà le nostra attese, ma attraverso di noi diffonderà sulla terra il suo Vangelo: ci e chiesto solo di seguire Gesù Cristo dovunque lui vada (cfr. Ap 14,4), sapendo che possiamo annunciarlo agli altri uomini solo se egli vive in noi.


GRADINI SI SANTITA'

L’INVIO in missione dei discepoli da parte di Gesù coinvolge oggi la Chiesa intera, e non solo alcuni suoi membri. L’annuncio gioioso del Cristo ci riguarda da vicino. Questi sono gli impegni che qualificano la missione: preghiera, annuncio e povertà. Il profeta Isaia (I Lettura) offre il suo messaggio di gioia e di speranza ai Giudei, tornati dall’esilio babilonese e tentati dalla sfiducia: un giorno Gerusalemme risplenderà della gloria divina. Dio stesso consolerà il suo popolo. 
Ai cristiani della Galazia san Paolo (II Lettura) ricorda che per essere annunciatori di pace occorre essere passati attraverso la croce di Cristo, strumento di pacificazione universale. L’Apostolo stesso vive la sua sofferenza in profonda unione con Cristo, portando nel suo corpo le “stimmate” della passione del Signore. L’evangelista Luca ci parla della scelta, dell’invio e del ritorno dei settantadue discepoli inviati da Gesù «in ogni città e luogo dove stava per recarsi». L’ultima parte del brano evangelico racconta l’esperienza della comunità cristiana che nei secoli vede diffondersi la parola d’amore del Cristo come un seme che germoglia e cresce, sconfiggendo il male. 

Domenico Brandolino, ssp – La Domenica

SETTIMANA IN PARROCCHIA

APPUNTAMENTI DAL 4 AL 10 LUGLIO

Da Domenica 10 luglio la S. Messa in Cattedrale sarà anticipata alle ore 9.30 e, già da questa domenica, la S. Messa a San Francesco d'Assisi sarà posticipata alle ore 20.00.

Lunedì
4 Luglio
Lunedì e Martedì, in Cattedrale, non ci sarà la S. Messa delle ore 9.00.

Da Lunedì a Mercoledì la S. Messa vespertina in Cattedrale sarà alle ore 19.30.
Giovedì
7 Luglio
Inizio della Novena della Madonna del Carmine presso la Chiesa di S. Teresa. Pertanto, la S. Messa vespertina non sarà celebrata in Cattedrale ma nella Chiesa di S. Teresa alle ore 18.30.
Sabato
9 Luglio
Ore 9.00: S. Messa nella Chiesa di S. Francesco di Paola, animata dal gruppo parrocchiale delle Mamme "S. Gianna Beretta Molla"

Ore 19.00: nella Chiesa di S. Francesco di Paola S. Rosario. Segue la S. Messa.
Domenica
10 Luglio


Ore 17.45: dalla Chiesa di S. Francesco di Paola si snoderà per le vie del centro storico la processione con il simulacro del santo con sosta in Cattedrale.

Ore 19.00: Celebrazione eucaristica presieduta dal Vescovo in suffragio dei militari e dei civili caduti sul mare.

Ore 20.00: solenne processione diretta al porto attraverso il ponte Giovanni Paolo II, benedizione del mare e lancio della corona in memoria dei caduti sul mare.

Orario delle SS. Messe:
Ore 8.00: Monastero di S. Teresa.
Ore 9.30: Basilica Cattedrale.
Ore 19.00: Basilica Cattedrale.
Ore 20.00: S. Francesco d'Assisi.