«
Fra tutti i giorni dell'anno che la devozione cristiana onora in
vari modi, non ve n'è uno che superi per importanza la festa di
Pasqua, perché questa rende sacre tutte le altre solennità. Ora, se
consideriamo ciò che l'universo ha ricevuto dalla Croce del Signore,
noi riconosceremo che, per celebrare il giorno di Pasqua, è giusto
prepararci con un digiuno di quaranta giorni, per partecipare
degnamente ai divini misteri. Non solo i vescovi, i sacerdoti, i
diaconi devono purificarsi da tutte le macchie, ma l'intero corpo
della Chiesa e tutti quanti i fedeli; perché il tempio di Dio, che
ha come base il suo stesso Fondatore, deve essere bello in tutte le
sue pietre e luminoso in ogni sua parte» (S. Leone Magno).
In
queste parole del grande Papa e Padre della Chiesa è contenuto il
significato austero e profonda mente impegnativo del ciclo liturgico
quaresimale, che oggi inauguriamo: una lunga «marcia» di
purifica zione e di preparazione per poter « partecipare degna mente
» alla pienezza del « dono » trasformante della Pasqua, che Cristo
ci offrirà come espressione massima della totalità del suo amore.
Il
brano evangelico, ripreso da Luca (4,1-13), che ci descrive il
drammatico incontro di Gesù con Satana, ci aiuta a cogliere anche
meglio il senso della Quare sima come tempo di prova e di «tentazione
» che affina lo spirito e lo rende totalmente docile alla volontà
di Dio, colta negli appelli e nei risvolti più segreti della sua
«Parola». Pertanto cerchiamo di cogliere in esso alcune indicazioni
che ci possono essere di aiuto durante l’itinerario dei quaranta
giorni.
La
prima è questa: per S. Luca la «tentazione» si estende a tutto il
tempo di dimora di Gesù nel deserto, e addirittura fino alla
Pas sione. È dunque una «tentazione» che afferra tutta la vita di
Cristo!
A
differenza di Matteo, infatti, Luca scrive che Gesù «fu condotto
dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal
diavolo» (vv. 1-2). E conclude dicendo che, «dopo aver esaurito
ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per
ritornare al tempo fissato» (v. 13). Il «tempo fissato» è
precisa mente quello della Passione, dove il «diavolo» di nuo vo
appare come l'orchestratore del tradimento di Giuda (Lc 22,3) e della
violenza fisica e della sopraffazione contro Cristo: «Questa è la
vostra ora, e l'impero delle tenebre» (Lc 22,53), dirà Gesù alla
soldatesca venuta ad arrestarlo nell'orto.
Il
testo ci permette anche di intravedere il «genere» di tentazione,
con cui Satana, con abile suggestione, cerca di travolgere Cristo.
Per ben due volte egli insiste sul fatto che Gesù è «Figlio di
Dio»: «Se sei Figlio di Dio, dì a queste pietre che diventino
pane... Se sei Fi glio di Dio, buttati giù...» (vv. 3.9).
D'altra
parte, il racconto delle tentazioni segue la scena del Battesimo,
dove Gesù era stato proclamato solennemente «il Figlio prediletto»
del Padre (3,22). Satana dunque collega la missione di Gesù quale
«Fi glio di Dio» con gesti di potenza, con manifestazioni di gloria
mondana e lo invita ad accettare il ruolo di un «Messia»
trionfatore e terreno.
È
questa la tentazione drammatica che ha inseguito sempre Cristo e che
gli viene sempre di nuovo proposta dalle attese della gente (14,15;
19,11), dei suoi concit tadini (4,25), perfino dei suoi Apostoli
(10,20). Ancora sotto la Croce si leverà irridente, con una violenza
quasi invincibile, l'ultimo ghigno della tentazione: «Ha sal vato
gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto»
(23,35). Sembra quasi che la folla ripeta ad litteram le parole di
Satana nel deserto!
La
tentazione di essere diverso da se stesso, di at tuare un progetto di
vita più facile e più accomodante, di essere il Messia desiderato
dagli uomini più che quello voluto da Dio! Questa è la tentazione
paurosa che Satana ha scatenato contro Cristo. Ma è anche la
tentazione che scuote i cristiani d'oggi e di sempre: essere diversi
da quello che Cristo, con il suo esempio ha voluto e vuole che noi
siamo; adattarci alle attese degli altri, più che sollevare gli
altri alle attese di Dio! È l'eterna seduzione di Satana, che
purtroppo con noi riesce, mentre non è riuscita con Cristo.
E
non è riuscita, perché lui si è come inchiodato alla fedeltà più
assoluta alla «Parola» quale espressione della volontà del Padre.
È questo il significato del suo continuo ricorso alla Scrittura, per
vincere le tentazioni di Satana: «Sta scritto: Non di solo pane
vivrà l'uo mo... Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo
ado rerai... È stato detto: Non tenterai il Signore Dio tuo» (vv.
4.8.12). Non si tratta qui tanto di una schermaglia dialettica o di
sottile esegesi, quanto piuttosto di una precisa volontà di
lasciarsi muovere e misurare dalla forza discriminante della Parola.
E la Parola rimanda continuamente all'ultimo Assoluto che le sta
dietro e la mette in essere: Dio come l'unico «Signore» che
dob biamo adorare e servire.
Abbiamo
qui un'altra indicazione per la nostra Qua resima: non solo l'ascolto
della Parola, ma soprattutto la realizzazione delle sue esigenze
nella nostra vita per trasformarla in un autentico progetto di Dio.
Solo così anche noi vinceremo, sull'esempio di Cristo, la sempre
riaffiorante tentazione di un cristianesimo accomodante, che sembra
voler piacere più agli uomini che a Dio (cfr. Gal 1,10).
Don
Piero De Santis
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