A qualcuno potrebbe
apparire anche superflua la festa della sacra Famiglia, che la Chiesa
ci invita a celebrare nella domenica che segue la solennità del
Natale. Ma non è così.
Infatti non si può
celebrare il mistero dell’Incarnazione di Dio senza pensare a
Maria, che lo ha portato per nove mesi nel suo seno, e a S. Giuseppe,
che ha ricoperto con tanto amore e discrezione il mistero di quella
nascita. Del resto, la stessa rappresentazione così vivace e diffusa
del presepe ci richiama subito alla mente i tre protagonisti di
questa storia, che ha dato senso nuovo alla vita di tutti gli uomini.
In realtà, la festa
della sacra famiglia, pur congiunta così intimamente al mistero del
Natale, assume un significato tutto proprio e direi anche autonomo,
soprattutto per i tempi che stiamo vivendo.
Per questo motivo la
Chiesa con la celebrazione odierna intende affermare la totalità
dell’esperienza umana di “quella” famiglia, dal suo primo
costituirsi fino all’inizio della vita pubblica del Signore, alla
sua passione, morte e risurrezione, e proporla all’ammirazione e
alla imitazione dei credenti. È quanto ci suggerisce la preghiera
d’inizio della S. Messa: “O Dio, nostro Padre, che nella Santa
Famiglia ci hai dato un vero modello di vita, fa che nelle nostre
famiglie fioriscano le stesse virtù e lo stesso amore, perché,
riuniti insieme nella tua casa, possiamo godere la gioia senza fine”.
Il brano del Vangelo (Lc
2, 41-52) ci aiuta a cogliere le virtù che erano di casa nella
famiglia di Nazareth, una famiglia con una vicenda unica, non certo
paragonabile ad altre famiglie perché chiamata da Dio a gestire una
realtà unica, non certo paragonabile ad altre famiglie perchè
chiamata da Dio a gestire una realtà unica rispetto a quella della
nostre famiglie.
Maria e Giuseppe mettono
da parte i loro progetti e ascoltando la proposta di Dio vivono per
quel Bimbo che è il Messia. Vivono per Cristo. La scelta di Maria e
di Giuseppe diventa così un messaggio per tutte le famiglie e per
l’umanità intera. Vivere per Cristo. S. Paolo riproporrà nella
sua esistenza cristiana, e quindi nelle nostra, la stessa realtà:
“Per me vivere è Cristo” (Fil 1, 21)
Questa coppia di sposi sa
accogliere nella sua esistenza Cristo. Sa scomodarsi per Cristo. Una
famiglia continuamente “sradicata” per Cristo: ora a motivo del
censimento, ora per la persecuzione di Erode. Una famiglia sempre in
cammino a motivo di Cristo. Una famiglia che anticipa nella sua
vicenda esistenziale le parole del discorso delle beatitudini. “Beati
voi quando vi perseguiteranno per causa mia” (Mt 5,11).
Maria e Giuseppe
trascendono i loro ruolo di genitori e si fanno discepoli di Gesù.
Sono coloro nella cui vita prende carne il lieto messaggio che quel
Bimbo, divenuto grande, proclamerà.
La Santa Famiglia, come
dicevamo prima, si fa allora modello per tutte le famiglie del mondo.
Essa ci rivolge l’invito a mettere Cristo al centro della nostra
vita, così come lo è stato al centro delle loro attenzioni, dei
loro progetti, dei loro sogni, dei loro ideali.
Potremmo dire che nel
momento in cui Maria generava Gesù, Gesù generava a vita nuova
Maria e Giuseppe, a quella vita divina che Dio comunicava loro per
mezzo del suo stesso Figlio.
Questa reciprocità di
generazione vale per tutti gli uomini. Mentre generiamo Cristo nella
nostra vita, mentre gli permettiamo di nascere e vivere in noi, in
quel momento stesso egli ci fa rinascere a vita nuova. La nostra fede
si fonda su questa reciprocità, su questo scambio che è all’origine
dell’Incarnazione.
“Dio si fa uomo perché
l’uomo possa diventare Dio” (S. Leone Magno). Questa reciprocità
attraversa sempre la nostra esistenza. Più generiamo Cristo, più
siamo rigenerati da Cristo. È quello che è accaduto a questa coppia
di giovani sposi, a Maria e Giuseppe.
È quello che vorremmo
accada ad ogni uomo così che accogliendo, generando Cristo e da Lui
generato, ciascuno possa ritrovarsi più uomo.
Don Piero De
Santis
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