domenica 24 aprile 2016

V DOMENICA DI PASQUA: Commento di don Piero De Santis

Con l'allontanarsi di Giuda prendono avvio gli avvenimenti che portano alla cattura, alla condanna e alla morte di Gesù. La ma rea del rifiuto, da lungo tempo montante, si abbatte su Gesù. Secondo le apparenze esteriori, egli viene semplicemente spazzato via, e vanno a fondo lui e la sua opera. Gesù dice ai discepoli ciò che, contro ogni apparenza, accade realmente in questo frangente e quale sarà il loro compito principale quando non lo avranno più visibile tra loro.
In tutto quello che ha fatto, Gesù ha posto continuamente l'accento sul legame tra Padre e Figlio, tra colui che manda e colui che è mandato: le parole e le opere del Figlio vengono dal Padre e di mostrano il legame del Figlio con il Padre. Questo vale anche per la sua passione e la sua morte. Esse non dimostrano che Gesù è separato e abbandonato dal Padre, ma sono la rivelazione del reciproco legame tra Gesù e il Padre, che qui raggiunge il suo culmine. Il Figlio glorifica il Padre e il Padre glorifica il Figlio. Nel linguaggio biblico, «glorificare» significa rendere visibile qualcuno nel luminoso splendore della sua vera realtà. Nel dono della vita che Gesù ha fatto e nelle sue conseguenze, Padre e Figlio diventano visibili nello splendore della loro relazione reciproca e nel loro rapporto con gli uomini. Questo è il vero carattere della morte di Gesù, ed è necessario percepirlo con fede.
Il Figlio dell'uomo è glorificato nel momento in cui dona la vita. Non con parole, ma attraverso questo evento reale e assoluta mente serio, egli si manifesta come il Figlio che è legato al Padre da una sconfinata fiducia. Questa morte è per lui il ritorno al Padre (Gv 13,1). Gesù non si aggrappa a nulla, ma si abbandona senza resistenza al Padre, anche nel momento in cui affronta la morte. Nello stesso tempo si manifesta nel suo illimitato amore per noi uomini (Gv 13,1), come il buon pastore, che non tiene nulla per sé, ma dà la propria vita per noi. Ma nel Figlio dell'uomo è glorificato anche Dio. Attraverso l'agire del Figlio, Dio si rivela come il Padre che merita una tale fiducia e riguardo al quale soltanto una tale fiducia è adeguata. E il dono della vita da parte di Gesù rivela l'infinito amore di Dio per il mondo, per il quale egli mette a repentaglio il proprio unico Figlio (Gv 3,16). A questa azione rivelatrice di Gesù fa seguito la sua glorificazione da parte di Dio. Dal mo mento della sua morte, il Figlio di Dio incarnato viene accolto dal Padre nella sua vita divina, nella gloria alla quale aveva già appartenuto prima di ogni inizio (Gv 17,5). A coloro che ne avranno par te, egli apparirà nella sua unità di vita con il Padre (Gv 17,24). Ma Gesù è glorificato dal Padre anche per il fatto che si manifesta come co lui che è innalzato sulla croce, nella sua efficacia salvifica. Da lui scorrono fiumi di acqua viva. Egli dona lo Spirito, la forza della vita eterna (Gv 7,38-39), e attira tutti a sé (Gv 12,32).
Quando Giuda s'allontana, l'evangelista precisa: «Era notte» (Gv 13,30). Giuda si è perduto in un'oscurità senza scampo e ora ser ve le potenze delle tenebre. Al suo allontanarsi fanno seguito le parole di Gesù, che non si sazia di parlare di glorificazione, di ri velazione nello splendore della luce. Proprio nella morte, dalla qua le dovrebbe essere distrutto e con la quale le tenebre vogliono vin cerlo, egli è la luce per il mondo, mette in luce Dio e mette noi uo mini nella luce del suo amore.
Questa luce s'irradia sull'ora del commiato, che pure è pieno di pena. Solo qui Gesù si rivolge ai discepoli con il diminutivo «fi glioli» («voi piccoli cari figli»), quasi con cura e amore materno. Finora Gesù è stato in mezzo a loro e li ha protetti (Gv 17,12); ora va alla morte. Così finisce la loro comunione, nella quale egli è sta to visibile in mezzo a loro. Essi non lo seguono subito nella mor te e nella gloria (cfr. 13,26; 21,18-19). Gesù vuole prepararli per il periodo della separazione esteriore.
Con il comandamento: «Amatevi gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34), Gesù mostra ai discepoli un modo in cui egli continuerà a essere pre sente in mezzo a loro e determina il loro comportamento. I discepoli devono orientarsi verso il suo amore, che ognuno di loro ha espe rito. In questo amore ciascuno deve rappresentare per l'altro Gesù, deve accettare l'altro, aiutarlo, essere attento al suo bene, come appunto ha fatto Gesù. Così essi renderanno presente l'uno all'altro Gesù in quello che soprattutto lo caratterizza: l'amore. I discepoli vengono apostrofati come comunità e devono orientar si secondo la comunione di vita che hanno potuto avere con Gesù.
Per quanto riguarda la formulazione, già nell'Antico Testamento c'era un comandamento simile a quello che Gesù ha dato nell'Ultima Cena: «Ama il prossimo tuo come te stesso» (Lv 19,18). Per quanto riguarda invece l'esperienza da cui deriva, da cui è sostenuto e da cui è commisurato, il comandamento di Gesù è completamente nuovo. Solo i discepoli di Gesù hanno esperito il suo amore, e solo nella sua morte si rivelano in pienezza l'amo re di Gesù e quello di Dio (Gv 13,1.31). Sulla base dell'amore che ri cevono dal Padre e dal Figlio, i discepoli devono amarsi l'un l'altro. Gesù non dà loro un comandamento puro e semplice, ma offre loro innanzitutto l'esperienza del proprio amore e crea per loro un nuovo spazio vitale, donando la propria vita e rivelando l'amore di Dio. Aprendosi all'amore e alla glorificazione di Gesù, i discepoli diventano capaci di amarsi l'un l'altro così come egli li ha amati. Così si rendono ancor più seguaci del loro Maestro e dimostrano di essere suoi veri discepoli. Per mezzo del loro reci proco amore Gesù continuerà a essere presente in mezzo a loro, guidando il loro comportamento.
La comunione finora visibile tra Gesù e i discepoli giunge alla fine. Proprio questa fine rende evidente come Gesù sia legato ai discepoli e quanto li ami. Egli prende congedo da loro, ma non li abbandona. Rimarrà con loro anche tramite il loro amore reciproco, ed essi rimarranno legati a lui.
Don Piero De Santis


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